ScreenHunter 01 Oct. 07 15.5723 anni fa, al mattino del 5 ottobre 1988, Algeri per prima, poi tutta l’Algeria si sveglia in stato di choc. La dittatura del partito unico, Fronte di Liberazione Nazionale, stava prendendo acqua da tutte le parti. Sommosse, saccheggi, ribellione generale. La repressione fu spietata più di 500 morti e migliaia di feriti e di vittime della tortura. Risultato: una breve esperienza democratica, poi la guerra per 15 anni.

Nel 1988 l’Algeria è indipendente da 26 anni. L’indipendenza ottenuta dopo 7 anni di guerra durissma, fu pagata un prezzo pesantissimo: circa 1 milione i morti su 9 milioni di abitanti. Ma subito dopo la proclamazione dell’indipendenza, si instaura una dittatura di stampo socialista e nazionalista arabo, sotto il comando prima di Mohammed Benbella e poi di Houari Boumedienne, dopo il così detto “radrizzamento rivoluzionario” del 1965, cioè un colpo di stato.

L’era di Boumedienne fu quella che si può chiamare una “dittatura illuminata”. C’era da una parte la chiusura del campo politico e di espressione, ma dall’altra c’era anche la costruzione delle basi di una nazione sana e vigorosa. Scuola, sanità e lavoro per tutti. Strade, fabbriche, università, ospedali… In 14 anni di governo, Boumedienne aveva fatto di una ex colonia francese che contava all’indipendenza una decina di medici e di ingegneri e un pugno di insegnanti, un paese autosufficiente dal punto di vista delle competenze nella maggior parte dei settori strategici: scuola, sanità, industria, energia, agricoltura.

Per intenderci, non erano tutte rose e fiori. Le scelte di Boumedienne erano anche sbagliate in molti settori. Industria pesante obsoleta comprata chiave in mano, burocratizzazione dell’agricoltura che porta un paese come l’Algeria ricco di terre arabili e dal clima ideale alla dipendenza dai prodotti di importazione. Arabizzazione del sistema scolastico in fretta e su base ideologica e non scientifica che abbassa in pochi anni un livello scolastico che era eccellente nei primi anni…

Ma Boumedienne apparteneva a quella classe di dirigenti che pur con mano di ferro, pur sbagliando spesso, avevano veramente a cuore l’interesse del paese. L’unico problema è che non si può fare del bene con il male. Anche se ben intenzionato, un leader che vuole mantenere il potere con la forza ha bisogno di incrementare il potere e i privilegi dei militari, ha bisogno di chiudere gli occhi sui misfatti di chi gli dimostra fedeltà, ha bisogno di organizzare una rete di controllo della società basata anche su piccoli criminali e gente inaffidabile… Sono questi elementi che si disfecero presto di lui nel 1989, anno in cui morì, probabilmente avvelenato, in condizioni oscure, per lasciare posto ad un regime, che in algerino si chiama del “tag ala men tag” (Il forte mangia il debole), dove gli apparati militari e di stato cominciano uno svuotamento sistematico dei contenuti e delle conquiste della guerra di liberazione e dei primi anni di indipendenza.

Nel 1988 è tutto il sistema che entra in collasso. È l’insurrezione generale del 5 ottobre.

C’era uno stato di rabbia molto diffuso nel paese. Le principali imprese industriali avevano organizzato grandi scioperi. Ci sono stati vari piccoli scontri nelle università, nelle fabbriche… Ma le scintille scatenanti partono da dentro il regime stesso. Primo tra tutti, l’allora presidente

della repubblica, Chadli Benjedid, chiama dalla TV di stato la gente a sollevarsi.(Leggere la descrizione che ne fa il regista algerino Jean Pierre Lledo membro fondatore del “Comité National contre la Torture” costituito dopo le sommosse di ottobre 1988 ) Tante città del paese sono messe a fuoco da bande di cittadini furiosi.

Davanti all’incapacità delle unità antisommossa della polizia a ripristinare l’ordine, l’esercito esce nelle strade e la repressione si fa spietata. I militari sparano abbondantemente sulla folla.: si parla di 500 a 800 morti. Migliaia i feriti, arresti e tortura in numeri considerevoli.

Ci sono però tante stranezze nell’insurrezione del 1988.

– Uno: l’onda coinvolge tutto il Nord del paese, stranamente, tranne la Cabilia, regione sempre

pronta a scattare.

– Due: gli attivisti dei movimenti di sinistra, tra cui lo scrittore Kateb Yacine, sono arrestati la

vigilia dell’inizio degli scontri (Abed Charef, Algérie ’88 Un chahut de gamins.? Laphomic, Alger, 1990). Mentre gli integralisti del futuro Fonte Islamico della Salvezza (FIS) hanno tutta la libertà di organizzare una manifestazione durante il coprifuoco generale e di recuperare così al loro profitto la rabbia delle famiglie delle vittime, dei giovani insorti e dei numerosi arrestati e sottomessi a orribili torture.

Gli eventi segnano due grandi cambiamenti: Proclamazione della liberalizzazione della politica ma soprattutto dell’economia e entrata in campo degli islamisti come attori politici di primo piano.

Poco dopo, la costituzione è cambiata e decine di nuovi partiti sono registrati. Ma la scena politica viene fin da subito quasi esclusivamente monopolizzata da uno scontro frontale tra i due grandi Fronti. Quello ancora al potere di Liberazione Nazionale (FLN) e quello che ambisce a sostituirlo come nuovo partito unico (di Dio) il Fronte Islamico della Salvezza (FIS).

Il tutto finisce in un bagno di sangue, quando nel dicembre del 1991, il Fis stravince le prime elezioni legislative plurali della storia del paese, dopo aver arraffato, qualche mese prima più del 70 % dei comuni del paese, e che l’esercito ferma il processo democratico perché, dicono… la democrazia era in pericolo.

22 anni prima dell’Avenue Bourguiba e di Piazza Tahrir, c’era il 5 ottobre 1988 nelle città dell’Algeria. 22 anni prima una insurrezione generale metteva fine al regno di un partito unico e apriva uno spiraglio di libertà e di democrazia. Speriamo che le cosiddette primavere arabe non conosceranno la stessa fine.